“Let’s Marche”: l’Istituto Marchigiano Tutela Vini presenta le Marche alla stampa nazionale

Storia e personaggi importanti hanno segnato l’origine delle Marche, unica regione italiana  “al plurale”, come la molteplicità dei suoi vini

Furono Carlo Magno e gli imperatori dopo di lui ad affidare a nobili marchesi alcuni feudi che avevano il nome di “marchesati” ed è proprio da qui che sembra derivare l’attuale nome della regione. Urbino fu la patria di Raffaello Sanzio. Storia, cultura, enogastronomia. Oggi la regione è amata e frequentata per le sue accoglienti cittadine balneari, spiagge di sabbia o sassi bagnate da un mare Adriatico che qui accarezza i toni del celeste e del blu. Tradizioni culinaria e gastronomia golosa, anche stellata, attività sportive ad ogni livello e una produzione vinicola ampia e variegata, così tanto da aver avuto la necessità di creare,  nel 1999, dalla volontà di 19 soci con 7 denominazioni tutelate, l’Istituto Marchigiano Tutala Vini.  La coesione tra produttori e con il territorio, la capacità di investire i fondi Ue e regionali, ma anche l’identità territoriale e la valorizzazione della varietà come tratto distintivo delle Marche, sono la ricetta di IMT per promuovere il vino marchigiano in Italia e nel mondo.

Qualche numero.

Dal 2010 al 2020 il totale degli investimenti effettuati da Imt e dalle aziende socie con i contributi comunitari (Ocm Promozione Paesi Terzi e Psr Misura Marche Paesi U.E. Mis 1.33 e 3.2) ha superato i 28 milioni di euro. Con 519 aziende associate per 16 denominazioni di origine – 12 Doc e 4 Docg (su un totale regionale di 20 denominazioni, 15 doc e 5 docg)– l’Istituto Marchigiano di tutela vini  rappresenta l’89% dell’imbottigliato della zona di riferimento e incide per il 45% sull’intera superficie vitata regionale (oltre 7.500 ettari tra le province di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino). Inoltre, le vigne marchigiane sono tra le più green del nostro paese, con una presenza di coltivazioni in biologico pari al 39,5% delle superfici, con quasi 7000 ettari su un totale vitato di circa 18.000 (rif. anno 2022/23, fonte Regione Marche, Assessorato all’Agricoltura), registrando un’incidenza doppia rispetto alla media nazionale.

Le Marche hanno, quindi, tutte le carte in regola per emergere e farsi conoscere a livelli importanti. Eppure non ci sono ancora riuscite al meglio. Vediamo perché.

Quello che le Marche necessitano, prima di tutto, è avere una rete di trasporti dall’Italia e dall’estero che consenta ai turisti di raggiungere il territorio facilmente, cosa che oggi non è invece così semplice. Infrastrutture moderne e mentalità aperta verso un “turismo immersivo”, come lo ha definito il presidente di IMT, Michele Bernetti, dove tutte le attività collaborino e siano coese verso un obiettivo comune: valorizzare e promuovere le Marche nella sua interezza. Ridurre al minimo il turismo stagionale, ampliare anzi il periodo annuale durante il quale offrire tutti i servizi necessari a rendere il territorio un luogo accogliente e pronto a ricevere turisti, professionisti, visitatori di ogni sorta. Ma questo come è possibile se a settembre molte attività come hotel e ristoranti chiudono? Si punta ad essere organizzati per ricevere turisti di alto livello e non solo in primavera ed estate, ma ci sono solo due hotel 5 stelle nelle Marche. Questo non agevola l’attrazione del cliente alto spendente, diventando un circolo vizioso che invece si sta cercando di interrompere, in favore di uno sviluppo territoriale a 360°, dove tutte le attività possano crescere insieme e veicolarsi l’un l’altra. Poche sono le aziende vinicole iscritte all’albo enoturistico, per esempio. Di fondo, come ci raccontano, va cambiata la mentalità del marchigiano, ancora troppo chiuso verso l’esterno e verso la coesione con il proprio vicino di casa. Le nuove generazioni stanno compiendo passi avanti in questo senso, ma serve una mano anche dalle istituzioni. “L’IMT chiede alla regione di essere coinvolto nelle attività di processo e sviluppo dell’enoturismo elaborate dalla Regione e dallo Stato in generale” dice Bernetti. E’ necessario, quindi, promuovere  in modo opportuno la bellezza e la capacità di accoglienza che hanno le Marche. A tal proposito, è stato presentato il nuovo claim della campagna di promozione regionale “LET’S MARCHE” che ci auguriamo sia l’inizio di un percorso moderno e consapevole verso l’ascesa dell’unica regione italiana “al plurale”.

L’evento “I Magnifici 16” organizzato nei giorni 22-23-24 giugno, ha avuto come focus la presentazione di IMT, e delle denominazioni da esso tutelate, alla stampa nazionale.

Una tre giorni organizzata con un programma dettagliato: i primi due divisi per piccoli gruppi di giornalisti e blogger di settore, con uno o più tour abbinati nelle 16 denominazioni marchigiane. Il terzo giorno, tutti insieme riuniti in una degustazione corale presso Villa Koch a Recanati. 120 le cantine presenti e 300 i vini in degustazione di tutte le Dop tutelate da IMT: Bianchello del Metauro, Colli Maceratesi, Colli Pesaresi, Esino, I Terreni di San Severino, Lacrima di Morro d’Alba, Pergola, Rosso Conero (Doc e Docg), San Ginesio, Serrapetrona e Vernaccia di Serrapetrona, Verdicchio dei Castelli di Jesi (Doc e Docg), Verdicchio di Matelica (Doc e Docg).

Il presidente  Bernetti, a capo dell’azienda Umani Ronchi, ha dato il benvenuto ai partecipanti in una video conferenza trasmessa da Jesi verso tutte le sedi di partenza dei tour, introducendo “I Magnifici 16” e gli obiettivi che il Consorzio ha, guidato dal direttore enologo Alberto Mazzoni. 

Il tour alla scoperta dei vini dell’areale di Ancona,  ha visto protagonista il Rosso Conero nella versione annata  (DOC) e Riserva (DOCG).

La novità è che nel 2021 è stata approvata anche la modifica che prevede nel disciplinare l’aggiunta delle versioni Rosato e Rosato spumante Metodo Classico; tali tipologie erano già prodotte da diversi produttori e troveranno quindi modo di essere consolidate all’interno della denominazione non appena terminerà l’iter amministrativo  (previsto a partire dalla vendemmia 2024).

Il Conero è un monte di roccia bianca a picco sul mare con calcare attivo che dona struttura, longevità e ricchezza al vino prodotto qui. Grazie ai suoli bianchi e alle tante ore di sole, le uve di Montepulciano maturano bene, nonostante sia la zona più a nord d’Italia dove venga coltivato.

Quello che è saltato all’occhio subito (anzi, al palato) nelle degustazioni è la grande (troppa, forse) eterogeneità dei campioni degustati. Che ogni produttore dia la propria interpretazione al vino e alla denominazione, nei limiti consentiti dal disciplinare, è cosa sacrosanta. Però, da un vitigno come il Montepulciano, profondo, carico, tannico andarsi a cercare proprio la surmaturazione e spingere per una gradazione alcolica oltre 15%, c’è da chiedersi perché. Oggi, che si lotta a mani basse per gestire l’alcol già in vigna, sembra più che mai un paradosso. Più di qualche assaggio sui 43 campioni degustati andava in quella direzione, presentando vini, sia annata che riserva, così “ingombranti” al palato che non sappiamo dire se e quando saranno mai pronti. Altri sono apparsi avvolti da un passaggio in legno molto preponderante, ma con una apertura verso la possibilità di distensione dopo qualche anno di bottiglia.

Qualche altro produttore, invece, interpreta il Montepulciano con l’approccio “less is more“, dove le estrazioni sono ridotte al minimo, il passaggio in legno sempre meno presente, a volte assente o in contenitori esausti che nulla più rilasciano al vino se non quella micro-ossigenazione di cui ha bisogno. Un vino che parli di mare, che sia croccante, succoso, fresco e focalizzato sul frutto che il Montepulciano rappresenta in modo così eloquente. E’ il caso de La Calcinara, piccola azienda di Candia (AN) dove la giovane enologa Eleonora produce, insieme al fratello, vini fini e sapidi, dalla beva slanciata e dinamica, senza snaturare il vitigno principe ma, anzi, elevandolo nella sua espressione più leggiadra.

Il cacciatore di sogni 2020 e Folle Riserva 2019: fresco, fine e sottile ma di gran beva il primo, sapido e succoso il secondo, dalla prima vigna piantata su gesso e argilla nel 1999. La versione 2007 del Folle assaggiata contestualmente, era prodotta con 45 gg di macerazione e l’uso di legni nuovi: un passo completamente diverso abbandonato poi da Eleonora in virtù della grande grazia attribuita oggi ai suoi vini.

 

 

Di grande pregio gli assaggi dell’azienda Garofoli (loc. Paterno) rappresentata da uno dei titolari, Gianluca Garofoli: sia nella versione annata (Piancarda 2020) che riserva (Grosso Agontano 2019) il suo Rosso Conero parla di volume e sorso fresco piuttosto composto, note di caffè e macchia mediterranea, tannini discretamente integrati e dalla prospettiva di una lunga vita davanti a sé. Chicca fuori programma la magnum di Grosso Agontano Riserva 2006: freschissimo e voluminoso, integro nella sua bevibilità avvolta da note terziarie che lo impreziosiscono senza appesantirlo. Probabilmente il miglior assaggio.

Umani Ronchi, azienda di riferimento per il territorio del Conero e non solo, presentata da Monica Ippoliti, tra San Lorenzo Rosso Conero 2021  fresco, succoso, slanciato e beverino e Campo San Giorgio riserva 2018  in una produzione di sole 5000 bt da viti ad alberello, (1 grappolo per pianta da 1,5 ha di vigneto) ricco e sapido, lunghezza balsamica e pulizia di bocca eccellenti, ci sorprende anche con Cumaro Rosso Conero 2001 (all’epoca non esisteva la menzione riserva) che significa “corbezzolo”: integro e fresco, preciso, nerbo, liquirizia, sapidità. Anche lui candidato, fuori concorso, al miglior assaggio della batteria.

Menzione di pregio anche per l’Azienda Moroder, produttori dal 1837, biologici dal 2008. Il Rosso Conero DOC 2019 “Notte” affina 2 anni in botte grande, fine e snello, sussurrati frutti di bosco freschi accompagnano la beva dinamica. Dorico Rosso Conero Riserva 2018  apre su ciliegia e  prugna matura,  foglie di mirtillo e una buona acidità bilanciano un sorso caldo e rotondo, non appesantito. Dorico Rosso Conero  1998  è un vino  complesso, china e foglie di sottobosco, tabacco, liquirizia e caramello completano l’architettura del sorso, grazie all’ottima acidità e la pulizia di bocca. Chiude su note balsamiche, rendendolo davvero entusiasmante.

Last but not least, Fattoria Le Terrazze, una delle aziende storiche del territorio, il suo Rosso Conero 2020 trascorre un anno in botti grandi, risultando piuttosto fresco e di buona beva.  Sassi neri Rosso Conero Riserva 2019 dal tannino ruggente ma in via di distensione, sferza freschezza balsamica e tinte speziate che impreziosiscono il sorso. Altro fuori classe, fuori concorso il Sassi neri Rosso Conero 1998 ancora in una forma sorprendente: bello a centro bocca, invaso da succo e freschezza,  balsamico e longilineo. L’equilibrio della materia e la grande mano del produttore ne fanno un vino che ne ha ancora da raccontare.

ROSSO CONERO NUMERI PRINCIPALI

ROSSO CONERO DOC (istituita il 22.08. 1967)

Superficie vitata Ha: 320

Resa uva/Ha: 13 ton

Vitigni: Montepulciano min 85%, max 15% altri vitigni autorizzati

CONERO RISERVA DOCG (istituita il 09.09.2004)

Superficie vitata Ha: 320

Resa uva/Ha: 9 ton

Vitigni: Montepulciano min 85%, max 15% Sangiovese

Affinamento: 24 mesi minimo

Sara Cintelli

Sara Cintelli

Fiorentina DOCG, nata e cresciuta a Firenze, dove ancora oggi vivo e lavoro. Amo il vino, per questo sono qui. E' diventata la mia professione. Ne scrivo, lo cerco e lo racconto, nella mia mai doma ricerca di stupore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potrebbe interessarti anche

Vuoi far crescere la tua attività nel wine business?